Il direttore tecnico della Fiorentina Nicolás Burdisso ha rilasciato una lunga intervista ai canali ufficiali del club, toccando diversi temi. Arrivato nell’estate del 2021, Burdisso si è rivelato una figura importantissima per la gestione sportiva dei viola. Questo un estratto delle sue dichiarazioni.
Burdisso e il legame con la Fiorentina
“Dopo 3 anni, per me, Firenze e la Fiorentina sono ormai diventate una seconda casa. C’è stato subito un grande feeling. È vero che, storicamente, la Viola e gli argentini hanno un grande legame, sia in campo che fuori. Questa tifoseria mi ha fatto sentire a casa. Questa società mi ha dato tutto, dalla libertà per lavorare bene alla sintonia con il pubblico. Con la società ci siamo scelti a vicenda: la Fiorentina aveva bisogno di una scelta prettamente tecnica e io avevo bisogno di una squadra che mi permettesse di esprimere le mie idee e di tornare in Europa dopo l’esperienza al Boca Juniors. A contattarmi sono stati i direttori Barone e Pradè. La Fiorentina voleva tornare ad alti livelli e questa era una grande opportunità“.
L’importanza del presidente Commisso
“Commisso per me significa famiglia, e vale per il presidente così come per la moglie e per i figli. Parlano sempre della squadra e della città, specialmente dei tifosi che sono il cuore di questo progetto. In questi anni abbiamo pensato di fare il meglio per la Fiorentina e lo abbiamo sempre fatto come famiglia, proteggendoci nel momento del bisogno. È una persona che ha una visione che va oltre al calcio, e non nascondo che avrei voluto passare più tempo con lui. Ogni volta che viene qui l’ambiente ha una marcia in più“.
Il legame con Joe Barone
“Faccio sempre molta fatica a parlare di Joe Barone senza emozionarmi. Come dico sempre: condividevamo più tempo tra di noi che con le nostre rispettive famiglie. Questo fa capire il legame che Joe ha avuto con me, molto intenso e molto leale, autentico. Vi racconto un piccolo aneddoto, per me molto bello. Quando sono arrivato lui mi conosceva poco, e dopo 2/3 settimane che lavoravo qui abbiamo avuto subito un confronto tecnico molto acceso, e per qualche giorno è stato molto freddo con me. Ho pensato di dovergli dimostrare di essere una risorsa, che non contava aver giocato due mondiali con la nazionale argentina, aver vinto scudetto o coppe internazionali, ma dimostrare di essere competente. Si trattava di giudicare un ragazzino che dovevamo prendere, allora ho preso la macchina e ho fatto quasi duemila km verso l’est, e non ho visto la prima partita da tesserati della Fiorentina contro il Torino. Joe poi mi chiama e gli dico che il calciatore non è adatto per noi, ma questo gesto ci ha fatto capire che eravamo qui per lavorare insieme e che volevamo la stessa cosa“.